Kurt Gödel viene universalmente considerato un genio e uno dei più importanti matematici del XX° secolo: il suo teorema di incompletezza ha cambiato radicalmente discipline diverse come la matematica, la filosofia, la logica e l’informatica.

In realtà è autore praticamente solo di un piccolo saggio di 25 pagine (Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme I (“Su proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e di sistemi affini I“), scritto a 24 anni e pubblicato l’anno successivo, nel 1931.

Prima di questo scritto che ha rivoluzionato il pensiero moderno ci lascia solo la dissertazione di dottorato che contiene il teorema di completezza (del calcolo dei predicati).

Dopo, fino alla morte avvenuta a 71 anni, sostanzialmente il nulla.

Gli anni viennesi

Nato a Brno (allora Brünn) nel 1906, in una affluente famiglia di lingua tedesca, si reca a Vienna nel 1924 per studiare fisica, matematica e logica.

La Vienna di quegli anni è il vero ombelico del mondo. Nella capitale austriaca fioriscono le arti, l’architettura, la letteratura e le scienze. I suoi fascinosi e gemütlich caffè sono frequentati da Musil e Zweig, Schiele e Wittgenstein, Kraus e Loos.

In campo logico e epistemologico si distingue il cosiddetto “Circolo di Vienna”, un gruppo di matematici e filosofi riuniti intorno Moritz Schlick (tra gli alti Rudolf Carnap, Otto Neurath e Hans Hahn) ispirati dal carismatico Ludwig Wittgenstein, che però non partecipò mai alle riunioni del gruppo. Il movimento filosofico che viene promosso dal Wiener Kreis è il Positivismo Logico.

Il giovane Gödel comincia a frequentare le riunioni del gruppo e, anche se non interviene mai nelle discussioni, interiorizza le tematiche di cui più si discute in quel periodo.

Tra queste spicca soprattutto il tema della fondazione della matematica e della sua coerenza e completezza: in sostanza il programma di Hilbert che auspicava si dimostrasse che l’aritmetica è un sistema formale completo basato su assiomi autoevidenti e su regole di inferenza che correttamente applicate conducono a teoremi non contradditori in un tempo finito. La verità di una proposizione prodotta dal sistema coincide con la sua dimostrabilità, la semantica si dissolve nella sintassi: risolvere problemi aritmetici significa seguire regole in modo meccanico, esattamente come farebbe un computer.

Sostanzialmente lo stesso tentativo portato avanti da Bertrand Russel nei “Principia Mathematica” di fondare l’aritmetica su assiomi da cui dedurre l’intero corpus dei teoremi veri deducibile dal sistema.

Un simile sistema formale deve avere quattro caratteristiche:

  1. essere sufficientemente potente da permettere di dedurre l’aritmetica,
  2. essere coerente (cioè non dedurre teoremi che si contraddicono),
  3. essere completo (cioè capace di derivare tutte le verità del sistema stesso),
  4. essere decidibile (si può decidere della verità o falsità di ogni enunciato in un tempo finito).

Gödel è convinto che nessun sistema formale abbia queste caratteristiche e lo vuole provare nel senso letterale di provare matematicamente, non semplicemente argomentare. L’opportunità si presenta nel 1930 in occasione del “Secondo Congresso di Epistemologia delle Scienze Esatte” di Königsberg durante il quale al giovane Kurt viene lasciato spazio per un intervento quasi ai margini del convegno.

Ed è in quest’occasione che Gödel enuncia e dimostra il suo famoso teorema di incompletezza.

Il Teorema di incompletezza

Si tratta in realtà di due teoremi strettamente connessi, ma solo il primo è compiutamente dimostrato:

  • Il primo teorema sostiene che qualsiasi sistema formale sufficientemente potente per descrivere l’aritmetica permette di derivare proposizioni che non è possibile provare né confutare all’interno del sistema.
  • Il secondo teorema sostiene che la coerenza di un tale sistema non può conseguentemente essere provata dall’interno del sistema stesso.

 

Oltre alla portata dirompente del teorema di incompletezza, straordinario è il metodo utilizzato da Gödel per la dimostrazione.

Gödel assegna univocamente un numero naturale a tutti i simboli logico-matematici necessari per la descrizione dell’aritmetica, e combina tali numeri in modo da formare proposizioni all’interno del sistema. Le proposizioni tradotte in numeri di Gödel trasformano i problemi e gli enunciati logici in numeri: con ciò è possibile codificare tutte le proposizioni e dimostrazioni in numeri.

 

Inoltre grazie a questo metodo Gödel crea formule che, attraverso la numerazione, parlano di se stesse o della loro dimostrabilità all’interno del sistema formale.

Una di queste è la proposizione “G”, che in sostanza dice “io non sono dimostrabile”. Ora, se il sistema dimostra l’enunciato allora dimostra una falsità poiché l’enunciato dice di non essere dimostrabile, ed è quindi non consistente; ma se il sistema non lo dimostra, si rivela incompleto poiché non dimostra un enunciato vero cioè ‘io non sono dimostrabile’. D’altra parte se lo dimostrasse l’enunciato sarebbe falso e il sistema inconsistente.

Se lo dimostra allora è falso e quindi il sistema dimostra una falsità. Se invece non lo dimostra il sistema è incompleto perché non dimostra un enunciato che è vero (proprio in quanto indimostrabile).

Il secondo teorema di incompletezza dichiara quindi che nessun sistema formale coerente, come quello dei Principia Mathematica, può dimostrare la propria coerenza, che può venire affermata solo da fuori dal sistema stesso.

Gödel e Turing

Con ciò Gödel pone fine alla pretesa di formalizzare completamente la matematica e di ridurla a puro sistema meccanico-algoritmico.

Pochi anni dopo un altro colpo mortale al programma di formalizzazione della matematica verrà inferto da Alan Turing che dimostrerà nel suo saggio “On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem” che vi sono problemi relativi alla computazione che per definizione non possono essere risolti computazionalmente.

Presi nel loro insieme i teoremi di Gödel e di Turing, cancellando la pretesa di formalizzazione della matematica, pongono dei chiari limiti alla computabilità e all’identificazione della verità con la dimostrabilità e, di conseguenza, alla capacità delle macchine di pensare.

Pensare è qualcosa in più che seguire degli algoritmi (computare).

È interessante notare come questi limiti siano sostanzialmente connessi all’autoreferenzialità nei sistemi formali, che immancabilmente tende a generare paradossi, autoreferenzialità che invece non costituisce un problema per la mente umana, caratterizzata dalla coscienza.

La fuga negli Stati Uniti

Gödel e la moglie (una ex ballerina di cabaret) scapperanno dall’Austria nazista nel 1940 per rifugiarsi a Princeton dove a Gödel viene assegnato un posto prima precario e poi fisso.

Il viaggio verso Princeton sarà una vera Odissea: per ragioni burocratiche legate ai visti la coppia dovrà percorrere tutta la Transiberiana e poi raggiungere il Giappone, per imbarcarsi per San Francisco e da qui attraversare tutti gli States fino a Princeton.

Dal giorno del suo arrivo Gödel non si muoverà mai più.

Diventerà grande amico di Albert Einstein con cui prende l’abitudine di percorrere insieme la strada che conduce all’Istituto per gli studi avanzati.

Morirà nel 1978 prostrato dalla malattia mentale e dai lunghi digiuni cui si sottoponeva per timore di essere avvelenato, un paradosso anche questo.

 


Ringraziamo per il contributo Paolo Riccardo Felicioli