Nel 2020 l’Accademia di Svezia conferisce il premio Nobel per la fisica alla cinquantacinquenne Andrea Mia Ghez per i suoi studi sui buchi neri supermassicci: Ghez diventa così la quarta donna a conseguire il Nobel per la fisica dalla sua istituzione, e già solo questo ne fa un caso particolare nella storia della scienza.

Nata da una famiglia di origini ebraiche e irlandesi, dopo aver studiato matematica si laurea in fisica presso il Massachusetts Institute of Technology, per conseguire infine il PhD, sempre in fisica, al California Institute of Technology nel 1992.

Da sempre interessata allo studio dei buchi neri, le cui condizioni fisiche estreme la affascinano, Ghez viene conquistata dall’ipotesi che esistano buchi neri supermassicci al centro delle galassie.

COS’E’ UN BUCO NERO

Per capire di cosa si tratta, cominciamo col definire che cosa è un buco nero “normale”, sempre ammesso che si possa usare l’aggettivo “normale” per riferirsi ad un buco nero.

Si tratta di un oggetto astronomico particolare la cui forza di gravità è tale da far sì che non emetta, né di conseguenza rifletta, alcuna luce.

La velocità di fuga da un tale oggetto (quella che permetterebbe di sottrarsi alla sua forza di gravità) è superiore alla velocità della luce, e quindi nemmeno quest’ultima può sfuggire alla sua tremenda gravità, alla quale soccombono tutte le altre forze fisiche.

La definizione dei buchi neri, che deriva direttamente da una soluzione delle equazioni della teoria generale della relatività di Einstein, elaborata da Karl Schwartzschild, solleva in realtà anche molti problemi teorici perché calcola che il volume del buco nero tenda a zero, e di conseguenza che la sua densità (massa/volume) sia infinita.  La comparsa del valore infinito in fisica è considerata un segno di qualcosa che non funziona, nella fattispecie è il segnale del, diciamo, cattivo rapporto tra meccanica quantistica e relatività generale.

COS’E’ UN BUCO NERO SUPERMASSICCIO

Un buco nero supermassiccio ha una massa che va da un milione a un miliardo di volte quella del sole: è una specie di mostro che può avere un raggio di Shwarzschild (la dimensione relativa a qualsiasi oggetto comprimendo l’oggetto sotto la quale, l’oggetto stesso viene ridotto a un buco nero) di dimensioni corrispondenti a quelle del nostro sistema solare. Come dire che dove noi abbiamo un sole ce ne sono compressi alcuni milioni.

Ora, per provare che al centro delle galassie (o almeno di gran parte di esse) si trova un buco nero di quella massa è innanzitutto necessario osservarlo. Ma il problema è come sia possibile osservare un corpo celeste molto lontano e che, soprattutto, non emette né riflette luce.

GLI STUDI DI GHEZ

La strategia adottata da Ghez è quella di osservare i movimenti stellari degli astri prossimi al punto dove riteniamo essere situato il buco nero supermassiccio della nostra galassia (il più prossimo a noi dopo quello della Via Lattea è infatti 100 volte più lontano). Inevitabilmente queste stelle saranno condizionate nel loro movimento dal buco nero (se questo esiste) e le loro orbite, e le loro relative estensioni, costituiranno una prova indiretta dell’esistenza del buco nero al centro della galassia o, al contrario falsificheranno la teoria.

Ma il compito di osservare le stelle prossime al centro della Via Lattea si presenta difficile in quanto l’atmosfera terrestre deforma le nostre osservazioni proprio come se guardassimo dei sassi sul fondo di un torrente attraverso l’acqua. È il motivo per cui il telescopio Hubble opera convenientemente (ed efficacemente) al di fuori dall’atmosfera terrestre.

A questo scopo Ghez ottiene, non senza difficoltà, la possibilità di utilizzare il telescopio del centro di osservazione di Keck: si tratta in realtà di due telescopi, che a metà degli anni ’90 erano i più grandi del mondo, con uno specchio di 10 metri di diametro, posti a oltre 4.000 metri di altezza nelle isole Hawaii. I due telescopi sono in grado di proiettare due raggi laser a decine di chilometri di distanza e di creare così un punto fermo di riferimento noto, in base al quale misurare le alterazioni delle immagini di astri veri causate dall’atmosfera terrestre.

In questo modo si ha un punto di riferimento noto in base alla quale correggere le immagini provenienti dallo spazio ripulendole, grazie a degli specchi contro-deformanti, dalle alterazioni causate dall’atmosfera (la tecnologia si chiama ottica adattiva).

Grazie al telescopio di Keck, Ghez è in grado di osservare gli astri al centro della Via Lattea, e in particolare S0-2, una stella che compie un’orbita molto piccola e molto veloce intorno al centro della Via Lattea (16 anni circa per completare l’orbita, superando anche i 5000 km/sec). Le loro orbite, e segnatamente quella di S0-2, risultano perfettamente compatibili con l’esistenza di un buco nero supermassiccio, nel senso che la velocità di orbita delle stelle e l’ampiezza delle orbite stesse sono spiegabili solo con l’esistenza di un tale oggetto al centro della galassia.

Resta aperta la caccia agli altri “mostri” al centro delle altre galassie.

Ringraziamo per il contributo PAOLO RICCARDO FELICIOLI