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Quali dati rischi di perdere se non adotti uno Student Model all’interno dei Learning analytics?

Nella formazione Digital si investe molto nella qualità delle esperienze formative per incrementare non solo la capacità di skilling degli strumenti digitali, ma anche e soprattutto per migliorare l’experience armonizzandola ai bisogni reali delle persone.

Da un lato, attualmente vediamo la crescita di modelli formativi destrutturati (micro-learning, social learning, informal learning) che tendono a diluire la formazione in un’ottica just-in-time adeguandola al bisogno, sfruttando le potenzialità del Digital per portare la conoscenza alla persona nel momento in cui il bisogno si manifesta; dall’altro lato, assistiamo alla crescita di modelli di gamification che premiamo la “metaforizzazione” dell’oggetto di apprendimento in una meccanica di gioco “esemplare”, che concentra l’effort cognitivo solo sui task fondamentali.

In questo scenario il terzo elemento di innovazione è dato dalla ricerca di adattività della formazione, che deve essere offerta al singolo rispettandone i bisogni formativi e il tempo a disposizione.

Tutte queste linee di innovazione condividono una tendenza all’individualizzazione della formazione, che pone al centro lo “user” inteso come soggetto “attivo” della propria esperienza di formazione (quasi in contrasto con la stessa definizione letterale di user, cioè utilizzatore di un prodotto standard).

Se ciò è fondamentale per il sense making e l’engagement della formazione, che costituiscono leve essenziali del percorso formativo e della crescita professionale, d’altra parte rischia di far perdere il focus rispetto ai risultati formativi complessivi da garantire all’organizzazione committente.

Infatti, se il training model va a specializzarsi sull’individuo, rimane l’esigenza per la Formazione e l’HR di disporre di un quadro globale delle skill e dei livelli di preparazione.

Pertanto, in questa rincorsa all’engagement individuale è comunque sempre necessario garantire all’organizzazione committente un adeguato livello di controllo sulla formazione in generale. Da qui nasce l’esigenza di complessi sistemi di Learning Analytics.

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Quindi blur o focus sullo User?

Rimane fondamentale osservare e interpretare i dati per comprendere la significatività dell’esperienza formativa, sia a livello globale sia a livello di individuo.

Ma cosa ci offrono le diverse esperienze come informazioni di “valore”? Quali modelli didattici vengono valorizzati in un approccio individuale vs nel gruppo, e quali invece rimangono sfuocati?

Considerando queste differenze, quali dati ha senso esaminare nella didattica?

Il punto di vista da cui guardiamo i dati porta sempre con sé delle domande implicite.

  • Se guardiamo ai dati individuali, li osserviamo in modo differenziale rispetto al comportamento tipo atteso per quel corso (cosa ha fatto l’utente di diverso dal gruppo? In positivo e/o in negativo?),
  • Se guardiamo ai dati del gruppo, li osserviamo indagando i risultati medi e gli scostamenti da questi, con lo scopo di isolare i casi critici che meritano un intervento (quali sono i comportamenti medi del gruppo? Sono adeguati o meno? Chi è fuori norma?).

In questo approccio di tipo inquiry, tuttavia, rischiamo di perdere degli elementi d’insieme che ci aiuterebbero a svolgere una migliore lettura dello scenario didattico.

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Quali sono le informazioni essenziali a livello di individuo e di gruppo? Quali dati siamo disposti a sfuocare per avere un dettaglio maggiore sui dati che ci interessano?

Per conservare una visione complessiva che tenga conto sia del dato individuale che dei dati di gruppo, dobbiamo necessariamente rendere più complessa la prospettiva di analisi.
Adottando un approccio di data science possiamo combinare i dati presenti in LMS per arrivare ad uno Student Model capace di misurare l’esperienza didattica nella sua complessità e senza perdere nessuna informazione.

In sostanza, i dati tracciati devono essere letti a partire da una griglia che permetta di indagare non il singolo risultato, bensì una serie di comportamenti espressi come indice di comportamento della persona in formazione.

Attraverso una pattern analysis dei dati complessi è possibile infatti arrivare a sintetizzare, e dunque a descrivere, l’esperienza formativa, utilizzando indicatori che possono non solo rappresentare l’esperienza del singolo ma anche misurarla in relazione al comportamento del suo gruppo di riferimento, così da non disperdere nell’analisi l’esigenza fondamentale della confrontabilità delle misure.

Nessuna informazione è in sé buona o sbagliata. Un metro ad esempio è tanto o poco solo se lo paragoniamo ad un centimetro o a un chilometro. Ogni dato va posto a confronto con un benchmark per essere valutabile.

Questo aspetto della confrontabilità è fondamentale, perché porta in sé l’esigenza di normalizzazione dei dati.

Adottare un modello di misurazione efficace consente di guardare con le stesse lenti tutte le attività formative, e disporre di informazioni specifiche e funzionali a una strategia di intervento didattico.

I Learning Analytics diventano perciò strumenti veramente utili alla Formazione e all’HR solo se sanno adottare uno Student Model, cioè un modello complesso di rappresentazione dell’esperienza formativa capace di:

  • descrivere l’esperienza del singolo trasversalmente su tutti i tipi di corsi,
  • adottare dei KPI derivati dai dati (data-driven) e non semplicemente classificati ex ante da esperti,
  • includere come benchmark il comportamento tipico del gruppo di riferimento,
  • essere traversale ai modelli didattici.

In base ai dati derivati, ex post è poi possibile riclassificare i comportamenti in pattern di intervento differenziali, in modo da adottare le migliori strategie relative alle diverse casistiche, non precostituite ma direttamente derivate dalla lettura dei dati descrittivi della learning experience.

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Daniela Pellegrini

Esperta progettazione didattica e R&S